E' un lunedì più lunedì di tutti i lunedì. E' finito ieri il Giro d'Italia e da appassionati di ciclismo, ci mettiamo dentro anche noi, io e l'amico commentatore tecnico Marco Rebagliati, che tre settimane all'anno proviamo a raccontarvi con il BuonGiro la Corsa Rosa, ripartire senza un pomeriggio appiccicati alla tv per seguire la tappa (nel mio caso spesso in replica la sera. ndr) non è per nulla semplice.
Soprattutto perché quest'anno, e non è un discorso retorico, è stata un'edizione bella da impazzire. Purtroppo non c'è stata bagarre per la vittoria finale, anzi, era dai tempi di Merckx e Indurain che non si verificavano simili distacchi dal secondo e dal terzo della generale (solo Vittorio Adorni nel 1965 diede 11' e 26' secondi al secondo Italo Zilioli) , ma il "cannibalismo" di Tadej Pogacar e come già detto nei precedenti articoli, la voglia di tutte le squadre, nessuna esclusa, di essere protagoniste.
Negli anni precedenti tra il Covid, le cadute, le polemiche, il Giro ha perso protagonisti importanti (vedi Evenepoel, Joao Almeida, Geoghegan Hart) e le discussioni soprattutto sul meteo e il mancato slittamento della corsa avevano tenuto banco particolarmente. E' chiaro che quello sia un tema clou e che va trovata una soluzione per gli anni a venire, senza se e senza ma. Anche perché perdere così lo Stelvio e la successiva soluzione alternativa non è accettabile. Con una via due settimane dopo certe condizioni climatiche infatti non si dovrebbero verificare.
Pogacar ha tenuto banco non solo perché è il corridore più forte del mondo (non me ne vogliano Vingegaard e il duetto Van Aert-Van der Poel, poco dietro Evenepoel che al primo Tour dovrà dimostrare), ma perché sa divertire, è empatico, sempre lucido nel suo agire. I gesti per Pellizzari sono lì per dimostrarlo, anche se qualcuno dirà che sul Monte Grappa poteva non fare spingere così la squadra (mancava comunque tanto alla fine. ndr). Poi le borracce ai bimbi, le battute, forse delle volte sembrate quasi un po' da persona troppo sicura di sè. Se lo può permettere.
E' servito il Giro per farci capire che il movimento ciclistico italiano, non è più così in affanno. Abbiamo i due corridori più veloci del mondo: Filippo Ganna e Jonathan Milan. Il primo che sa fare il gregario, sa essere protagonista con attacchi come ad Andora e nelle crono dopo anni di primariato dimostra di essere ancora l'uomo da battere. Il secondo in due anni si è affermato e rivali ne aveva in questa edizione che potevano impersierirlo, ma è sempre stato nel vivo aiutato da un treno formidabile. Peccato per Roma, l'inconveniente meccanico probabilmente gli ha tolto lucidità nel finale e Merlier comunque non è proprio l'ultimo arrivato. Tre a tre la sfida finale tra i due, niente male. Poi, Zana, Velasco, Vendrame, Piganzoli, Fiorelli, Covilli e su tutti Pellizzari e Tiberi. Corridori che hanno fame e che hanno bisogno di non essere bruciati. Diamogli tempo perché le qualità ci sono tutte. Salutiamo Pozzovivo, ciclista d'altri tempi che ne ha passate di tutti i colori ma non ha mai mollato. 7 volte in top ten (quinto nel 2015) e 12 nei top 20. Una tappa al Giro. Ci mancherà.
Poi la meraviglia dello stivale che ci dona sempre scorci mozzafiato. La memoria tra la partenza da Torino e l'arrivo sul Monte Grappa, il Santuario di Oropa, Prati di Tivo, la partenza da Pompei e l'arrivo a Bocca della Selva, Mottolino, Monte Pana, Passo del Brocon. E poi Roma. Superfluo dire qualcosa sulla città più bella del mondo.
Una cosa mi aspetto dalle prossime edizioni oltre al tanto auspicato slittamento dell'avvio della corsa. Che i protagonisti del Tour vengano a sfidare Pogacar, che ha già annunciato che tornerà.
E' mancata infatti solo la bagarre in classifica. Il pubblico no, quello risponde sempre presente.
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