Il profumo che si sprigiona da un forno a legna ci fa diventare subito felici. Davanti a un piatto rotondo fumante, da generazioni ci ritroviamo intorno a un tavolo per condividere una delle tradizioni più amate d’Italia: mangiare insieme la pizza. Negli ultimi anni, però, accanto a lei è comparsa una nuova protagonista, la pinsa romana, che ha conquistato menù e palati con il suo carattere inaspettato.
A prima vista sembrano simili, eppure la differenza tra pizza e pinsa è più profonda di quanto si immagini: un racconto fatto di farine, acqua e tempi lunghi che hanno rivoluzionato il concetto di impasto.
Cos’è e com’è nata la pinsa, un’eredità che si rinnova
Per capire davvero cos’è la pinsa bisogna fare un passo indietro. La pizza è il simbolo della cucina italiana, ma fino a pochi decenni fa era spesso più pesante, meno attenta all’equilibrio nutrizionale e alla digeribilità.
Negli anni Ottanta, mentre cresceva la sensibilità verso un’alimentazione più leggera, alcuni panificatori come Corrado Di Marco iniziarono a interrogarsi su come reinventare la tradizione senza tradirla. La risposta è stata un impasto radicalmente diverso: un blend di farine selezionate, un’idratazione altissima, un lavoro lento che predilige il tempo alla fretta.
Così è nata la pinsa romana, con la sua forma allungata e il morso sorprendente: crosta croccante, cuore soffice, sensazione di leggerezza che rimane anche dopo un pasto abbondante. Più che una rivale della pizza, la pinsa è una sua evoluzione, un’altra via possibile per celebrare la cultura del forno italiano.
La scienza dell’impasto: ecco la differenza tra pizza e pinsa
Non è sufficiente osservarle per comprenderne l’identità: bisogna saperla raccontare dall’interno. Se la pizza tradizionale poggia quasi sempre sulla farina di grano tenero, la pinsa nasce da un intreccio più complesso con frumento, soia e riso. A questo si aggiunge la pasta madre essiccata.
Ma la vera rivoluzione è l’acqua. Per ogni chilo di farina vengono incorporati circa 800 grammi di acqua, una proporzione insolita che rende l’impasto estremamente idratato. Lavorarlo richiede esperienza e pazienza, perché solo con lunghe ore di maturazione – fino a 72 – raggiunge la sua consistenza definitiva. Alla fine, si ottiene una base che, una volta cotta, mantiene una struttura ariosa, alveolata, al tempo stesso soffice e fragrante.
Chi assaggia una pinsa nota subito questa differenza: la crosta scrocchia appena sotto i denti, ma l’interno rimane morbido e leggero, con una digeribilità che conquista anche chi di solito guarda con sospetto alle lievitazioni complesse.
L’esperienza a tavola
Se la pizza è la compagna ideale delle grandi tavolate, la pinsa ha trovato un ruolo tutto suo: spesso servita in rettangoli, perfetta da condividere, si adatta con naturalezza alle abitudini contemporanee. La forma ovale, che inizialmente incuriosisce, diventa presto funzionale: più pratica per assaggi diversi.
Non cambia invece la varietà delle farciture, che spaziano dalle versioni classiche a quelle più creative, proprio come nella pizza. A tal proposito è ormai consolidato il successo delle pinse gourmet, con ingredienti ricercati e di primissima qualità.
E poi c’è da dire che il bilanciamento nutrizionale della pinsa la rende più vicina alle esigenze attuali. È un prodotto che ha saputo leggere il presente senza rinnegare il passato, trasformando la semplicità del lievitato in una proposta gastronomica moderna, urbana e trasversale.
Non bisogna confondere la pinsa con la scrocchiarella
Oltre alla differenza con la pizza, c’è un altro lievitato da non confondere con la pinsa. Chi frequenta le pizzerie e i forni romani lo sa: accanto alla pizza tonda e alla pinsa spunta spesso un altro nome, la scrocchiarella.
È facile confondere i due prodotti, perché entrambi raccontano la tradizione capitolina del forno. In realtà, come per la pizza, sono parenti lontani. La scrocchiarella è una pizza in teglia sottile, cotta fino a diventare croccante al punto da spezzarsi con un suono secco, quasi netto. Nasce dall’impasto classico di frumento, molto idratato, steso in grandi teglie rettangolari e spinto in cottura fino a sviluppare quella fragranza asciutta che la rende inconfondibile.
La pinsa, invece, segue un percorso diverso, come abbiamo visto. Ecco perché pizza in teglia e pinsa non vanno sovrapposte. Sono due strade parallele, entrambe radicate a Roma ma con obiettivi diversi: l’una punta sulla croccantezza assoluta, l’altra sulla leggerezza e sull’equilibrio.
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