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Cultura | 11 giugno 2025, 16:30

Premio Strega a Verbania: la famiglia al centro dei romanzi finalisti

Al Maggiore i cinque autori hanno raccontato i loro romanzi in un dialogo con Alessandra Tedesco e con il pubblico

I drammi familiari offrono lo spunto narrativo a quattro dei cinque finalisti del Premio Strega, che ieri sera sul palco de “Il Maggiore” hanno risposto alle domande di Alessandra Tedesco (Radio 24).

Nadia Terranova (“Quello che so di te”, Guanda) conduce un’indagine familiare sulla bisnonna Venera, sulla “vergogna” d’un ricovero in manicomio dopo la perdita di una figlia, Giovanna, ancora in grembo in seguito ad una caduta accidentale. Una vergogna nascosta di generazione in generazione ma non al punto da cancellare la memoria di Venera e della mai nata Giovanna. Il “fattore scatenante” della vicenda narrativa è l’età, i 37 anni di Venera e i 37 dell’autrice in gravidanza.

Elisabetta Rasy (“Perduto è questo mare”, Rizzoli) incentra la vicenda narrativa su due figure: lo scrittore Raffaele La Capria, una sorta di padre letterario, e il padre vero, assente per decisione della madre, che ritrova anziano e in preda alla depressione. Un male ancora “oscuro” di cui non si parla, siamo nel 1963, per pudore. Un padre che, anche se ritrovato, non è in grado di dare alla figlia ciò che cerca.

Andrea Bajani (“L’anniversario”, Feltrinelli) parte dall’accompagnamento alla porta del figlio quarantenne, al termine di una periodica visita ai genitori, che si conclude con la domanda “tornerai a trovarci?”. Un quesito che chiude il ciclo di visite periodiche del figlio e lo spinge ad interrogarsi sul ménage familiare dominato da un padre padrone.

Michele Ruol (“Inventario di quel che resta quando la foresta brucia”, TerraRossa) racconta della disperazione di due genitori che hanno perso i due figli – che non vengono mai citati per nome – nell’incendio della loro casa e del diverso modo di padre e madre d’affrontare la perdita e di cercare di uscirne.

Paolo Nori (“Chiudo la porta e urlo”, Mondadori) fa scoprire al lettore Raffaello Baldini, poeta misconosciuto di Arcangelo di Romagna, che componeva prima in dialetto romagnolo per poi tradurlo in italiano. Ma, come in altri suoi lavori, va oltre la biografia letteraria. Scrive del suo rapporto personale con Baldini – incontrato 3 volte –, delle testimonianze di chi l’ha conosciuto. Un autore entrato nel pantheon letterario di Nori, che ieri ne ha parlato pochissimo insistendo sull’influenza esercitata sul suo modo (di Nori) d’essere scrittore. Mischiando (par di capire) la vicenda letteraria di Baldini ad episodi della sua vita personale. Chi vuol sapere di Baldini deve per forza leggere il libro.

Un paio d’ore, quelle di ieri a “Il Maggiore”, filate via veloci al cospetto di un pubblico reattivo alle battute dei finalisti, gratificati da un lungo applauso a fine serata.

Redazione

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