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Economia | 10 dicembre 2025, 07:00

Il ritorno dell’orologio analogico nell’era digitale

Il ritorno dell’orologio analogico nell’era digitale

È curioso: abbiamo inseguito per anni la promessa del digitale – più funzioni, più dati, più controllo – e alla fine ci siamo ritrovati con il tempo che non sentiamo più, ma che ci insegue. Lo smartwatch vibra, notifica, interpreta, analizza. Eppure, proprio mentre tutto sembra misurato al millisecondo, l’orologio analogico torna a occupare il polso non come oggetto vintage, ma come atto deliberato, quasi provocatorio.

Non è un ritorno sentimentale, né un vezzo rétro. È una forma di sottrazione consapevole: scegliere di guardare l’ora senza essere guardati da uno schermo.

Dalla dipendenza al gesto: leggere il tempo invece di essere letti

Lo smartphone non ci dà solo l’ora: ci ricorda tutto ciò che dobbiamo ancora fare. Consultarlo significa aprire un varco che non si richiude facilmente. L’orologio analogico, al contrario, restituisce un tempo non condizionato, privo di richieste e interruzioni.

Indossarlo è un gesto quasi silenzioso, ma tutt’altro che neutro. Stringere un cinturino, percepire la cassa contro il polso, controllare le lancette senza scorrere notifiche significa riprendere possesso di un’azione che la tecnologia aveva trasformato in riflesso involontario. Non si tratta di romanticismo, ma di igiene mentale: un atto minimo che protegge uno spazio privato.

La precisione meccanica come risposta all’obsolescenza programmata

Nell’era degli aggiornamenti continui, l’idea che un oggetto possa durare decenni suona quasi sospetta. Eppure, un orologio analogico – meccanico o automatico – non diventa inutilizzabile dopo due anni, non chiede compatibilità, non smette di funzionare perché nasce un nuovo modello.

La sua precisione non dipende da una batteria integrata, ma da una struttura fisica che si può regolare, riparare, tramandare. È una forma di modernità meno spettacolare, ma più adulta.

Bilancieri, scappamenti e rotori non promettono miracoli, ma affidabilità. È paradossale che, in un sistema che proclama sostenibilità a ogni slogan, la vera resistenza appartenga proprio a ciò che non è connesso.

Il ritorno del polso che non deve spiegarsi

Uno smartwatch comunica efficienza, ma anche una certa ansia performativa: sei raggiungibile, misurabile, tracciabile. L’orologio analogico, invece, ha ricominciato a parlare un linguaggio diverso: quello della presenza, non della prestazione.

Nel guardaroba maschile contemporaneo è diventato un segno di intenzione estetica. Quadranti sobri, profili sottili, materiali autentici: un ritorno alla coerenza più che al classicismo. Non è un feticcio da collezionisti, ma un accessorio che completa l’immagine senza trasformarla in un’estensione delle notifiche.

Maison come Hamilton hanno colto questa nuova sensibilità: movimenti tradizionali, ma design moderni, capaci di convivere con una giacca tecnica o un cappotto sartoriale senza sembrare fuori epoca. Se vuoi esplorare questo equilibrio puoi visita il sito ufficiale di Hamilton e scoprire come la tradizione non sia affatto sinonimo di immobilità.

Il ritorno dell’orologio analogico non è la nostalgia di ciò che era, ma la stanchezza di ciò che è diventato inevitabile. In un mondo che misura ogni passo, ogni battito, ogni minuto disponibile, il quadrante con le lancette rappresenta un tempo non negoziato.

Non vibra, non interrompe, non interpreta: accompagna. E forse è proprio questa la vera provocazione contemporanea. In un’epoca ossessionata dal nuovo, l’autentica modernità può essere scegliere qualcosa che non deve aggiornarsi per restare attuale.




 



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