Nuovo colpo di scena nel processo per la tragedia della funivia del Mottarone, costata la vita a 14 persone nel maggio del 2021. Il giudice dell’udienza preliminare del tribunale di Verbania, Gianni Macchioni, ha disposto la riformulazione dei capi d’accusa da parte della Procura, chiedendo l’eliminazione del reato di attentato alla sicurezza dei trasporti nella sua forma aggravata dal disastro.
Di conseguenza, il procedimento è stato rinviato al 18 settembre, in attesa che i pubblici ministeri presentino una nuova formulazione delle contestazioni. Una decisione che richiama quanto accaduto un anno fa, quando – sempre su richiesta del Gup – il fascicolo fu restituito alla Procura per modifiche analoghe.
"La lentezza della giustizia è insopportabile. La paura più grande è che tutto vada in prescrizione", ha dichiarato Vincenza Minutella, madre di Silvia Malnati, una delle giovani vittime dell’incidente. "Aspettiamo da quattro anni e intanto gli imputati vivono serenamente la loro vita. Non è giusto". Minutella ha espresso anche una forte delusione per l’atteggiamento del precedente giudice: "Sembrava quasi che volesse evitare ogni responsabilità, accettando qualsiasi versione della difesa".
Le accuse e gli imputati
Il procedimento coinvolge cinque persone fisiche: Gabriele Tadini, all’epoca capo servizio dell’impianto, Luigi Nerini, amministratore unico di Ferrovie del Mottarone, Enrico Perocchio, direttore di esercizio e dipendente della società Leitner, Martin Leitner e Peter Rabanser, entrambi con ruoli di vertice nella medesima azienda.
Le società Ferrovie del Mottarone e Leitner, inizialmente inserite nel fascicolo, sono invece uscite di scena, poiché sono venute meno le condizioni per applicare le normative sulla sicurezza nei luoghi di lavoro.
Il cuore dell'accusa resta legato alla manomissione del freno d'emergenza, disattivato tramite l'inserimento dei "forchettoni" da parte di Tadini mentre l’impianto era in funzione, nei giorni precedenti al disastro. Un’azione che – secondo l’accusa – sarebbe stata non solo tollerata ma anche avallata da Nerini e Perocchio.
La Procura ipotizza che proprio questa grave negligenza abbia reso possibile il disastro: la rottura della fune traente della cabina n.3 provocò la sua discesa incontrollata per oltre 400 metri, fino all’impatto con un pilone e infine la caduta nel vuoto da circa 17 metri.
A Tadini e Perocchio vengono inoltre contestati episodi di falso, per aver omesso di registrare e firmare, nel giornale dell’impianto, problemi tecnici gravi – tra cui le frequenti perdite di pressione del circuito idraulico – relativi proprio alla cabina precipitata.
Le parti civili e la voce dei familiari
Sono una trentina le parti civili ammesse, tra cui Regione Piemonte, Comune di Stresa, parenti delle vittime e anche i familiari di Eitan, il bambino israeliano, unico sopravvissuto allo schianto, che si sono costituiti parte lesa solo nei confronti di Tadini e Nerini.
La madre di Silvia, nel suo sfogo ai giornalisti, ha sottolineato che ottenere giustizia non potrà mai cancellare il dolore. "Silvia aveva appena 26 anni, si era da poco laureata e stava costruendo la sua vita. Dopo la sua morte, nulla ha più senso".
Con l’udienza ora fissata per il 18 settembre, resta ancora lontano l’inizio del processo vero e proprio.